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gli, che, nel cavare le gemme di testa a dragoni, ne beo-
no il fiato l veleno. Corrono al canto, e restan nel vi-
schio. Sitibondi di certi spiriti che sveglino loro la
mente, tanto ne prendono, ch escon di senno.
Chi camina per polvere o per fango, come che legger-
mente sel faccia, sempre ne resta con qualche sordidezza
al piede: e infin le stelle, disse colui, che pur sono stelle
cio la pi pura materia del cielo impastata di luce, per-
ch si nutriscono d umore terreno, sordido alimento che
succiano di qua gi, restano macchiate e deformi. Cos
credette, ancorch fuor di ragione, il buon Plinio: Macu-
las enim non esse aliud, quam terr raptas cum humore
sordes. Questo s vero che anime quantunque di profes-
sione celesti, e pure di vita, se pascono la mente di sordidi
umori beuti, da Petronio, da Apulejo, da Ovidio, e, oltre
molti altri, da alcuni Poeti e Novellatori della nostra favel-
la peggiori di tutti gli altri ne trarranno sordidezze al cuo-
re; con pericolo, di concepire desiderj simili a gli oggetti
che mirano: come le Pecorelle di Giacobbe, alla vista de
legni di pi colori, gli Agnelletti, di cui eran o gravide,
con la stessa divisa di pi colori macchiavano.
Mancano i libri, e niente meno gustosi a chi ha sano il
Palalo, e molto utili? A che sonar flauti, disse Alcibiadi-
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de, vedendosi in sonarli con la bocca torta e le guancie
gonfie sconciamente deforme, a che sonare i flauti, se vi
sono le lire e le cetere, che pi vi dilettano e niente vi
sformano? E con ci li gitt; n vi fu in Atene chi dipoi
volesse usarli. Libri, che vi fanno divenir mostruosi, e il
bel volto di Dio, di cui avete un impronta nell anima, vi
trasformano in sembianti animaleschi e brutali, a che
leggerli, se tanti altri ve ne sono d ugual piacere e di pi
giovamento? Perch bere le sordidezze d impurissimi
autori, nel modo che Galatone con acconcio ritrova-
mento dipinse molti Poeti imitatori o ladri d Omero,
che con le bocche aperte riceveano ci ch egli vomitava,
se v altrove nettare senza feccia, e di sapor tanto pi
dolce quanto delle sordidezze del senso sono pi gustosi
i puri pascoli della mente? alla cui mensa, molto pi soa-
vemente che non a quella della Reina di Tiro,
Coi capei lunghi e con la cetra d oro,
Il biondo Jopa, qual Febo novello,
Canta del Ciel le meraviglie e i moti,
Che dal gran vecchio Atlante Alcide apprese;
Canta le vie, che drittamente torte
Rendon vaga la Luna e bruno il Sole;
Come prima si fer gli uomini, e i bruti;
Com or si fan le piogge, e i venti, e i folgori;
Canta l Iade, e l Orse, e l Carro, e l Corno;
E perch tanto a l Oceano il verno
Vadan veloci i d, tarde le notti.
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A gli Scrittori d impudiche poesie, Parenesi.
Uditemi, o Luciferi della terra. Cos dunque vi don
Dio un ingegno d alti pensieri e d acuto intendimento
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perch aveste a voltarne contro di lui ingratamente la
Punta? V insegn a maneggiare con lode una penna, per-
ch ella vi fosse saetta per ferirlo nell onore? Dandovi una
mente d Angioli; vi avea a provare nimici come Demonj?
N mi dite: non avevamo ingegno fuor che solo per
questo. Dir di voi ci che Tertulliano degl Israeliti:
Maluistis allium et cpe, quam cSlum fragrare. La chia-
rezza de vostri ingegni, che poteva risplendere con rag-
gi di stella salutevole, avete voluto che sia luce di legno
fracielo, nata dalla putredine e dalla corruzione. Siasi
vera che foste docili solo al poetare. Ma poetar lasciva-
mente fa egli necessit d ingegno, o vizio di volont? Ba-
stava (ci che fece Pitagora con un lascivo, sonatore di
cetera) che mutaste tuono alla lira della vostra Musa; e
cambiandole un Lidio molle, in un Dorio grave, in vece
di svegliare negli altrui affetti movimenti di passione la-
sciva, glie li avreste addormentati.
Ma quando pur vi fosse toccata una Musa metrice,
con quello che voi chiamate genio o talento di poetar la-
scivo; io vi dir, e con pi ragione, quello che Lattanzio
ebbe a dire di Leucippo Filosofante, primo inventore
degli Atomi, e difensore del Caso: Quanto melius fuerat
tacere, quam in usus tam miserabiles, tam inanes, habe-
re linguam! Non egli meglio non avere vena di poesia,
che avere una vena che butti tossico e veleno? Un savis-
simo Imperadore mai non acconsent che la moglie sua
beesse vino, ancor che i Medici giurassero, altra medici-
na non esservi per fare ch ella di sterile ch era divenisse
feconda. Stim quel saggio Principe il rimedio peggior
del male; e diceva: Malo uxorem sterilem, quam vino-
sam. O quanto meglio starebbe a voi in bocca quest al-
tro: Malo Musam sterilem, quam lascivam! S io non so
favellare altra lingua, che d animale; voglio essere anzi
uomo mutolo, che bestia parlante.
E qual pro vostro, che struttovi l ingegno, e consu-
mata l et e la vita, publichiate al mondo un opera,
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quando pur ci sia, immortale, se per essa sarete lodati
in terra, e tormentati sotterra; lodati dove non siete, e
tormentati dove in eterno sarete? Gli Orazj, i Catulli, gli
Ovidj, i Galli, i Marziali (per non dire de nostri di Reli-
gione pi santa, ma di poesia piu profana), che giova lo-
ro, che stiano ora alla luce della publica fama, se intanto
stanno nelle tenebre dell inferno sepolti; e per ogni api-
ce di quell impuro che scrissero, sono tormentati col,
mentre qui, senza saperlo, sono per quello stesso inutil-
mente lodati?
Bench, quando pur dopo lo studio di molti anni
v uscisse della penna un opera di merito immortale (nel
che pero pauci, quos quus amavit Juppiter); di quella
gloria, ch il legittimo premio delle fatiche de grandi
ingegni, altra parte non vi promette che la men degna,
quella dico del volgo o de viziosi: poich uomini, assen-
nati e savj, a cui orecchi solcismus magnus et vitium
est, turpe quid narare, anzi v abbommeran come peste
della vita civile e de buoni costumi; n sembrer loro la
mal usata virt de vostri ingegni altrimenti che la smi-
surata s ma empia forza de Giganti, che non si lodano
come robusti perch poteano svellere dalla terra i monti
e accavallargli l un sopra l altro, ma si condarmano
com empj perch con ci presunsero di combattere il
Cielo e levar Giove di seggio.
Ma se altro non vi persuade, eccovi Dio sceso alle sor-
didezze d una stalla, alle miserie della povert, alle brut-
tezze d una vita oscura, a gli scherni d scimunito, alle ca-
lunnie di seduttore, alla vendita di schiavo, alla
condannagione di reo, alla morte di ladro, tutto lividure
sotto le sferze, tutto sangue tra le spine e i chiodi, tutto
confasione nella nudit, tutto dolor su la Croce. Or fatevi
avanti e gli chiedete: Per chi cercare un viaggio s lungo, e
fra termini s lontani, dal Cielo al Calvario? Per chi riscat-
tare uno sborso s copioso di lagrime, di sudori, di san-
gue? Ebbe egli in ci, questo nobile mercatante, disegno
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d altro guadagno, che d anime? Pretese egli altro da noi
chiese altro al suo Padre, che averci in vita imitatori, dopo
morte compagni? Or mettetevi voi a paragone con Dio, e
mirate l indignit di questo gran contraposto. Egli per sal-
var anime fa quanto pu, voi ci che sapete per perderle.
Che pronostico fate di voi stesso? Qual faccia avrete in
comparirgli davanti come reo a vostro giudice, mentre al-
zeranno contra di voi dall inferno le grida tanti per vostra
cagione perduti, e ne volumi de secoli avvenire vi si mo-
strer quanti altri dopo questi per vostra cagione si perde-
ranno? Qual difesa avrete alle vostre, reo delle colpe al-
trui? Bench elle non sono tanto d altrui, che non sieno
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